Il mio ridurre l’abbigliamento ad un oggetto che si lava, stira, ecc… era più che altro una provocazione e una sorta di messaggio tra le righe (ne ho mandati molti in questi lunghi commenti che, grazie a te, ho scritto) a tutti coloro che ci scrivono prendendosi non molto, ma estremamente sul serio.
Sono d’accordo con te nel considerare la moda all’interno di discipline come la sociologia, la storia, la psicologia e via discorrendo.
Tutto sta, però, capire l’ambito nel quale si intende agire e regolarsi di conseguenza nell’uso del registro linguistico e delle cosa da trattare e sulle quali porre l’accento.
Se devo scrivere un libello accademico di sicuro lo infarcirei di citazioni, storia, argomentazioni a supporto della mia tesi o del prodotto di cui vado parlando.
Per fare una metafora sartoriale, cucirei attorno all’argomento tutti ciò di cui dispongo in termini di conoscenze.
Se devo segnalare me stesso, o le spillette fatte con pasta di sale, o una linea di shirts, ad un blog come questo, allora cambio registro e, continuando con la metafora sartoriale, butto via ago e filo e prendo le forbici per tagliar via tutto quello che non serve.
P.S. Tranquillo, Davide, che non ti sei bruciato niente ;)
Anzi, la cosa è stata divertente!